30 set 2007

S. CATERINA DA SIENA

L’esperienza di vita di Santa Caterina da Siena non fu solo mistica e religiosa. Canonizzata da Pio II nel 1461, Santa Caterina fu proclamata Patrona d'Italia, assieme a San Francesco d’Assisi, nel 1939, Protettrice delle infermiere nel 1943 (da Papa Pio XII), Dottore della Chiesa Universale nel 1970 (da Paolo VI); infine, Compatrona d'Europa nel 1999 (da Giovanni Paolo II).
L'elemento che più caratterizza la vita di questa Santa, infatti, è la grande attività pratica (anche politica e letteraria) che la coinvolge per tutta la vita, alimentata da un intenso travaglio interiore e sostenuta da una profonda intuizione: quella dell’amore verso il divino e verso il mondo, testimoniato sempre con ardente passione.

Caterina nacque a Siena il 25 marzo 1347, ventesima figlia di Jacopo Benincasa, tintore di lana, e di Monna Lapa, figlia del poeta senese Puccio il Piacente.
Fin dalla più tenera età cominciò a mortificarsi fisicamente, ed in seguito ad una visione del Cristo, ricevuta a sei anni, decise di rimanere vergine.
Intorno ai dodici anni i genitori decisero di farle prendere marito, ma lei, che di nascosto si dedicava a pratiche ascetiche, dopo essersi rasata i capelli, coprì il capo con un velo e si chiuse in casa, senza piegarsi nemmeno alle opprimenti fatiche domestiche alle quali la sottoponevano per distoglierla dai propositi ascetici.
Osteggiata dai genitori, per diversi anni condusse una vita di sacrifici, dedita solo alla preghiera, chiusa nella sua stanza; finalmente, a diciotto anni, pur rimanendo nella propria abitazione, prese il velo delle Mantellate (suore così chiamate a causa del mantello nero indossato sul vestito bianco dell'Ordine Terziario Domenicano).
Nel 1370 decise di aprire il proprio cuore al mondo esterno, cominciando a dedicarsi all'assistenza degli ammalati in ospedale: insieme ad un gruppo di discepoli che la seguivano nei numerosi spostamenti, Caterina divideva il suo tempo fra la chiesa di San Domenico, l'ospedale e il lebbrosario, dove assisteva i malati e i moribondi.
Si narra che un giorno, pentita del disgusto provato al cospetto delle piaghe di un malato, la Santa abbia bevuto l'acqua utilizzata per lavarne la ferita, esclamando di non aver mai gustato cibo o bevanda tanto dolce e squisita.
I sonni di Caterina erano spesso accompagnati da visioni. Ad esempio, nella notte di Carnevale del 1367, le apparve, accompagnato dalla Vergine e da una folla di santi, il Cristo, che le donò un anello e la sposò misticamente; quando la visione sparì, l'anello restò, visibile solo a lei. In un'altra visione Cristo le prese il cuore e lo portò via, ritornando poi con un altro cuore ancor più bello e vermiglio: il suo. Il Cristo donò a Caterina il suo cuore inserendolo nel costato e, a ricordo del miracolo, in quel punto le restò una cicatrice.
Ma Caterina non fu solo una mistica, si dedicò ad opere di carità, curò i malati, soccorse i poveri, assistette i carcerati, fu missionaria di pace; la sua piccola stanza, una sorta di “cella", divenne un cenacolo di persone colte e cominciò ad affollarsi di religiosi, di artisti e di dotti; rimase, tuttavia, anche un luogo di ritrovo per la gente semplice e per gli appartenenti a ordini religiosi diversi (Domenicani, Francescani, Agostiniani); questi presero il nome di "Caterinati" poichè, attratti dal suo carisma, vedevano in lei un punto di riferimento.
Ciò suscitò preoccupazione nei superiori dell'ordine, che, insospettiti, la chiamarono a Firenze per valutare la veridicità dei suoi accadimenti; lei si difese splendidamente e, dissipati dubbi e perplessità, si vide assegnare un maestro, frate Raimondo da Capua, suo futuro erede spirituale.
Ben presto in tutta Europa si diffuse la voce della sua fama e delle sacre stigmate, ricevute il 1 aprile 1375 in una chiesetta del Lungarno (detta ora di Santa Caterina).
Caterina cominciò, quindi, ad essere onorata come santa.
Nel 1376 i fiorentini le chiesero di intercedere presso Papa Gregorio IX per far togliere loro la scomunica che si erano guadagnati per aver formato una lega contro lo strapotere dei francesi; allora Caterina si recò ad Avignone con le sue discepole, tre confessori ed un altare portatile, e riuscì a convincere il Papa; Gregorio IX si lasciò anche persuadere ad abbandonare la “cattività avignonese”, riportando la sede papale a Roma dopo quasi settant'anni di esilio.
Nel 1378 Papa Urbano VI la chiamò a Roma per essere aiutato a ristabilire l'unità della Chiesa; a Fondi, infatti, i francesi avevano appena eletto l'antipapa Clemente VII.
Caterina lo sostenne, scrivendo diverse lettere ai capi di stato e ai cardinali di tutto il mondo. Inoltre, insieme ai suoi discepoli si recò a Roma, dove difese il Papa strenuamente.
Il 29 aprile del 1380, a soli trentatre anni, morì.


Fu sepolta nel cimitero di Santa Maria sopra Minerva, ma nell'ottobre del 1381 il Papa Urbano VI accordò il permesso di staccare dal busto la Sacra Testa, che venne affidata a due frati e portata in segreto a Siena. L’11 maggio 1385, accompagnata da un'imponente processione, la reliquia fu trasportata nella chiesa di San Domenico, dove tutt'ora giace. Le rimanenti parti del corpo, divenute anch'esse reliquie, furono poste nel sarcofago sotto l'altare maggiore.

Caterina era semianalfabeta e non di grande cultura: non era andata a scuola e non aveva avuto maestri. Tuttavia, imparò seppur faticosamente a leggere e, più tardi, a scrivere (anche se la maggior parte dei suoi messaggi furono comunque scritti sotto dettatura).
Pur non avendo, dunque, propositi letterari, i documenti che ci ha lasciato, il “Dialogo della divina provvidenza” e le “Lettere”, sono fra opere più belle e meno note del ‘300; anche se scarsamente elaborate e talvolta caratterizzate da un'eccessivo ardore, si tratta comunque di pagine d'insolita altezza spirituale.
Il “Dialogo della divina provvidenza”, una delle più notevoli opere mistiche di tutti i tempi, costituisce la vera summa delle sue esperienze di fede e della sua dottrina.
Le “Lettere”, in tutto 381, indirizzate a persone di ogni condizione, s’inseriscono nel filone letterario religioso trecentista, prevalentemente rivolto non alla creazione d’immagini poetiche ma ad un fine esclusivamente pratico. Santa Caterina, infatti, si servì delle lettere per nobili scopi: lenire i dolori del prossimo, predicare la riforma della Chiesa, restituire a Roma la sede pontificia.
Animata da un intenso fervore religioso, spinta da un autentico desiderio di rinnovamento dell’umanità, la Santa scriveva messaggi vigorosi e forti, caratterizzati da un linguaggio coinvolgente e carico.
Tra le varie lettere scritte da Caterina, la più suggestiva è senza dubbio quella che scrisse in occasione della morte di Nicolò di Tuldo, un giovane gentiluomo fiorentino accusato, nel 1375, di aver ordito una congiura ai danni di Siena.
Condannato a morte ingiustamente, l’uomo non aveva voluto ricevere i conforti religiosi da nessuno; solo Caterina riuscì a vincere le sue resistenze, andò da lui e gli parlò, infondendo nel suo animo serenità e pace.
La lettera è di eccezionale bellezza per l’intensità e il vigore del suo linguaggio, ma colpisce anche la tenerezza e l’accesa passionalità delle parole.


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