20 set 2007

IL LAVORO DELLE DONNE



IL LAVORO DELLE DONNE IN CITTA'...

Fin dal XII secolo, con lo sviluppo dell’economia cittadina, artigiani e commercianti avevano organizzato la propria attività in aziende familiari autosufficienti in cui lavoravano entrambi i membri della coppia. Spesso una stessa famiglia esercitava grande e piccolo commercio, e in tal caso alle donne era affidato il commercio al dettaglio mentre gli uomini si spostavano per affari più consistenti. Nel secolo successivo si contavano già numerose donne che esercitavano il proprio grande commercio, ma solo nelle città commerciali dell’Italia centro-settentrionale, mentre tra il XIV e il XV secolo le grandi società commerciali a partecipazione femminile si diffusero anche nel resto dell’Europa.
Molto più comune era il lavoro artigianale, soprattutto nel ramo tessile e nella produzione alimentare, ma non mancano esempi di donne occupate nella metallurgia e nell’edilizia. Nelle botteghe artigiane le donne erano per lo più apprendiste o aiutanti, e venivano retribuite con un salario di circa un terzo inferiore a quello degli uomini. In alcuni settori, come la lavorazione di lusso, furono numerose anche le donne che divennero maestre. L’accesso alle corporazioni variava secondo il ramo di attività e la forza delle lavoratrici. Se a Parigi e a Colonia furono fondate corporazioni esclusivamente femminili (filatrici d’oro e ricamatrici di seta), in altri casi esse potevano entrare nelle corporazioni con gli stessi diritti e gli stessi doveri degli uomini. Il più antico esempio è quello della corporazione di pellicciai di Basilea (1266).







Lo sviluppo dell’economia cittadina, nel XII-XIV secolo fu dunque in gran parte fondata sul lavoro femminile. Esso fu invece significativamente ridotto, almeno nelle forme del lavoro dipendente organizzato, nel periodo successivo.
Il Quattrocento e il Cinquecento offrirono maggiori occasioni di guadagno alle donne legate ai grandi traffici commerciali, mentre diminuì il numero delle lavoratrici salariate. In altri settori non vi furono invece significativi mutamenti: le donne continuarono ad essere escluse dalle professioni che richiedevano una preparazione universitaria, come il diritto, e rimasero numerose nelle attività meno qualificate, in particolare nel servizio domestico (una famiglia di media borghesia disponeva di una decina di dipendenti e domestici di entrambi i sessi ma con prevalenza delle donne).



…E IN CAMPAGNA


Nelle campagne il lavoro delle donne non cambiò sensibilmente fino al XVI secolo. Nelle aziende familiari rurali esse continuarono a occuparsi, come nei secoli precedenti, della casa e dell’orto, del bestiame minuto e della produzione casearia, della preparazione del pane e, nei paesi nordici, della birra di uso quotidiano. Le lavoratrici salariate erano chiamate per la tosatura delle pecore, il dissodamento dell’orto, la mietitura, mentre la vendemmia e la raccolta di cereali ed erbaggi erano attività svolte indifferentemente da uomini e donne. Fin dalla prima penetrazione del denaro nell’economia rurale le donne si erano poi impegnate ad aumentare le entrate familiari con attività che andavano oltre la casa e il proprio campo, in particolare con il commercio dei generi da esse stesse prodotti – latte, burro, formaggi, frutta, verdura, ma anche stoffe e sapone. Una nuova occasione di guadagno si offrì alle donne con il lavoro a domicilio. Nelle zone e nei periodi in cui si diffuse la “manifattura dispersa” e la produzione tessile si sottrasse al controllo delle corporazioni spostandosi dalle città nelle campagne, il lavoro salariato fu svolto soprattutto dalle donne, come filatrici. In alcuni casi serviva il filo prodotto da quindici filatrici per il lavoro di un solo tessitore.













LA DONNA VISTA DAI CHIERICI

L’immagine negativa della donna, vista come causa di tentazione, fu elaborata, per tutto l’Alto Medioevo ed anche oltre, fino al XIII secolo, da monaci e sacerdoti che, costretti dal loro ruolo a vivere lontani e separati dalle donne, le avvertirono come presenza oscura e pericolosa, fonte di peccato.
Jacques Delarun
[1] illustra chiaramente la condizione in cui matura quest’idea:

Ancora una volta dobbiamo partire dagli uomini, da coloro che, in quest’epoca feudale, detengono il monopolio del sapere e della scrittura, i chieirici; e soprattutto dai più eruditi tra loro, i più influenti, i più prolissi. Monaci o prelati secolari, essi hanno il dovere di pensare l’umanità, la società e la Chiesa, di dar loro un orientamento verso la salvezza, di assegnare anche alle donne un posto in questa economia divina. I secondi devono andare ancora più oltre, concepire una missione pastorale che indichi a tutto il gregge la via di una possibile perfezione, o almeno di un perfezionamento costante perseguito con tutti i mezzi.
Tutto però, soprattutto prima del XIII secolo, li allontana dalle donne, ritirati come essi sono dentro l’universo maschile dei chiostri e degli scriptoria, delle scuole e poi delle facoltà di teologia, nelle comunità dei canonici dove, a partire dall’XI secolo, anche i chierici […] tentavano la pura vita dei monaci.
[…] Separati dalle donne da un celibato esteso rigorosamente a tutti a partire dall’XI secolo, i chierici ignorano tutto delle donne.
Se le immaginano, o piuttosto se La immaginano; si rappresentano la Donna, da lontano, nell’estraneità e nel timore, come un’essenza particolare anche se profondamente contraddittoria.

Nel XIII secolo la piena affermazione della vita cittadina e la nascita degli ordini mendicanti, francescani e domenicani, la donna non fu più vista soltanto come strumento del peccato, o lei stessa peccatrice, ma venne accettata attraverso un ruolo positivo, quello di madre.
La madre per eccellenza è Maria, colei che è stata scelta per il figlio di Dio: si affermò così il culto della Madonna ad opera dei monaci cistercensi prima, poi, soprattutto, dei francescani e domenicani. I mistici come S. Bernardo di Chiaravalle, i grandi filosofi come S. Bonaventura, Giovanni Duns Scoto, Alberto Magno e Tommaso d’Aquitania, ne furono i più illustri artefici.
Così lo storico francese Jacques Delarun ci presenta l’affermazione del culto di Maria:

E’ l’epoca trionfante della sua devozione, da Chartres ad Amiens, la sua splendida estate. I canti più appassionati delle sue lodi vengono dall’ambiente monastico, e soprattutto dai Cistercensi nella scia del dottor mellifluo, Bernardo di Chiaravalle.
[…] A partire dall’inizio del XIII secolo, i Mendicanti, i Francescani soprattutto, prendono saldamente il primato. È nella tensione verso la Vergine che la mistica medievale prende lo slancio: pietà filiale, più che mai pietà di figlio. Forse meno concentrazione sulla verginità: la donna trionfa in quanto madre.
Le facoltà di teologia sono la sede per eccellenza della speculazione e della elaborazione dogmatica.
[…] Tuttavia essa si fa più vicina all’umanità – lo si coglie meglio che altrove nell’iconografia – per mezzo delle sue carezze di umile donna al popolo del Figlio adorato, ma più ancora nell’intensità del suo lutto. Il Duecento, il Trecento e il Quattrocento risuonano dei lamenti degli autori più mistici sulla Vergine Addolorata, colei che raccoglie il figlio ai piedi della croce e lo mette nella tomba: il francescano Corrado di Sassonia, gli spirituali Jacopone da Todi e Ubertino da Casale, l’osservante Bernardino da Siena… La pittura e la scultura, che rifioriscono, ne diventano lo sfolgorante teatro.



[1] J. Delarun, La donna vista dai chierici, in Storia delle donne, Duby-Perrot, Bari, 1990

LA MODA DEL TEMPO...

L'ABBIGLIAMENTO...

Il modo di vestire spesso è specchio di una determinata condizione sociale ed è strettamente legato, quindi, alle caratteristiche di un periodo storico e alla cultura ad esso connessa.
Come sarà, dunque, la moda femminile nel Medioevo? Quali saranno i capi d’abbigliamento più diffusi?

Generalmente, i vestiti che compongono l'abbigliamento femminile sono molto simili a quelli maschili per quel che riguarda taglio e fattura. È, però, possibile soffermarsi ad osservare più da vicino le caratteristiche degli abiti e degli accessori indossati dalle donne.
In particolare si possono prendere in considerazione alcune tipologie di abiti più diffuse.
Tunica: era uno dei capi di vestiario più diffusi e si divideva in due differenti tipi: quella normale era una semplice veste lunga fino a metà polpaccio, mentre quella composta, comparsa intorno al 1180, era caratterizzata da un corsetto aderente, da una larga fascia che sottolineava la vita e da una gonna lunga aperta su entrambi i fianchi. Questo capo slanciava la figura femminile e disegnava la forma dei fianchi, del ventre e del dorso. Lo scollo diviene man mano sempre più ampio e rotondo, le maniche lunghe e svasate a partire dal gomito. Le tuniche più belle erano quelle di sciaminto, col corpetto goffrato, la gonna pieghettata sul fondo, adornate con ricami e galloni.
Per essere ancor più elegante, la donna doveva completare la tunica con una grande cintura di cuoio intrecciato, di seta o di lino. Non era semplice allacciare la cintura: infatti si effettuava un primo giro all'altezza della vita, un nodo sulle reni, poi un secondo giro all'altezza dei fianchi, un nuovo nodo all'altezza del bacino ed infine si lasciavano cadere le estremità in due bande uguali fino a terra.
Calze: erano simili a quelle degli uomini ma, non potendo essere agganciate alla cintura delle brache, erano sempre sorrette da giarrettiere.
Scarpe: potevano essere di vario tipo: alte o basse, chiuse o aperte, con o senza linguetta, di cuoio, di feltro, di tessuto, foderate di pelliccia. La moda, però, preferiva i piedi molto piccoli, i tacchi abbastanza alti, un modo di procedere ondulante e accuratamente studiato.
Surcot: era il tipico mantello femminile, una sorta di pellegrina semicircolare che non veniva chiusa sulla spalla come quella degli uomini, ma sul petto, con alamari e lacci alla cui confezione si dedicava sempre molta cura. Dal XII secolo i mantelli venivano chiusi con doppi bottoni che si infilavano in due occhielli. I bottoni potevano essere molto diversi tra loro sia per la forma (piatti o sferici) sia per il materiale (cuoio, tessuto, osso, corno, avorio, metallo). Il mantello, dunque, si prestava ad essere decorato in modo particolarmente inventivo e fantasioso.







LA PETTINATURA...

È possibile che anche la pettinatura di una donna sia specchio della sua condizione sociale?
Durante il periodo medievale il modo di portare i capelli variava, innanzitutto, a seconda dell'età: le fanciulle e le donne più giovani li portavano con la scriminatura al centro e due trecce che scendevano sul petto, spesso lunghe fino alle ginocchia, o ulteriormente allungate da pendenti appesi a ciascuna estremità. Intorno al 1200 questa moda tende, però, a scomparire e si afferma un nuovo modo di portare i capelli: questi sono più corti e vengono tenuti fermi da un cerchietto. Assolutamente importante era coprirsi la testa con un velo di lino o di seta prima di uscire di casa o di entrare in chiesa. Le cose erano diverse per vedove e suore: queste donne, infatti, dovevano indossare il soggolo, un copricapo che nascondeva non solo i capelli, ma anche le tempie, il collo e la parte superiore del busto.
Attraverso questa breve schematizzazione si è potuto vedere come anche il modo di vestire o, più in generale, di prendersi cura del proprio corpo, rispondesse alle leggi del tempo.

…Aggiungiti a noi…
Si può, infatti, allargare questa riflessione confrontando la moda femminile del Medioevo con quella di altri periodi storici.
Inserisci la tua riflessione!!!