1 ott 2007

LA SCUOLA SICILIANA







La nuova lirica cortese in volgare italiano sorge intorno agli anni Trenta del XIII secolo in un ambiente di grande vivacità culturale,la corte di Federico II di Svevia. Gli autori sono funzionari del governo imperiale o personaggi comunque legati all'amministrazione del Regno meridionale. Essi decidono di trapiantare nel volgare di Sicilia i modelli della lirica cortese provenzale, depurata dai riferimenti alle vicende concrete, alla cronaca della vita cortigiana e a persone ben identificabili, riferimenti frequenti nella poesia provenzale. I poeti siciliani intendono dare alla loro poesia una funzione sociale: rispecchiare il valore e il prestigio della corte cui appartengono.
La poesia dei siciliani affronta il tema dell'amore soprattutto dal punto di vista feudale del rapporto d'amore e cerca di definire il suo carattere di comunicazione. Al centro c'è la donna, nobile signora e padrona, da servire con dedizione, ma non esprime mai quel pathos della distanza e dell'indecifrabilità della donna amata-signora che è invece tipico di alcuni poeti provenzali. Attenti indagatori del trasmettersi dell'amore, i poeti siciliani individuano nel vedere il tramite principale del rapporto con la donna; e intorno al vedere concentrano varie immagini e metafore.
Nel cantare il suo rapporto con la donna, il poeta mette alla prova e accresce il proprio valore; il suo servire l'amata, il suo impegnarsi nella fedeltà lo rende socialmente più degno.
Il primo e maggiore esponente della scuola siciliana è il notaio Giacomo Da Lentini (“il Notaro”), funzionario imperiale. Sottile sperimentatore, dotato di sapienza metrica e retorica, fu con ogni probabilità l'inventore della nuova forma del sonetto.


Io m'aggio posto in core a Dio servire,
com'io potesse gire in paradiso,
al santo loco, c'aggio audito dire,
o' si mantien sollazo, gioco e riso.
Sanza mia donna non vi voria gire,
quella c'à blonda testa e claro viso,
che sanza lei non poteria gaudere,
estando da la mia donna diviso.
Ma non lo dico a tale intendimento
perch'io pecato ci volesse fare;
se non veder lo suo bel portamento,
e lo bel viso e 'l morbido sguardare:
che·l mi teria in gran consolamento,
veggendo la mia donna in ghiora stare.

In questo sonetto la donna viene descritta secondo gli stilemi tipici della poesia provenzale: i capelli biondi, lo sguardo soave e il portamento elegante. Ma viene sviluppato anche il tema dell'impossibilità del poeta di essere felice persino in paradiso, se separato dalla contemplazione della sua donna. Anche qui, l'amore si nutre di se stesso. Il poeta, infatti, ribadisce che il suo attaccamento non deriva dal desiderio di possesso: egli sarebbe felice solo nel vedere la donna amata nella gloria del Paradiso.

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